Venerdì 9 e sabato 10 dicembre, al Piccolo Teatro della Città, va in scena lo spettacolo prodotto dal Teatro Libero e diretto da Luca Mazzone sul rapporto tra padre e figlio e sulla replicabilità delle relazioni Il rapporto tra il Padre, figura concreta e allo stesso tempo utopica, e il figlio appartiene alla dimensione del mito, fatta di legami ancestrali che sottendono l’elemento dell’unicità e della natura.

C’è questa relazione al centro di A number di Caryl Churchill che – nella traduzione italiana di Monica Capuani, per la regia (e le scene) di Luca Mazzone e con l’interpretazione di Giuseppe Pestillo e Massimo Rigo – andrà in scena, venerdì 9 e sabato 10 dicembre (ore 21), nell’ambito del percorso di nuovoteatro nel cartellone del Piccolo Teatro della Città (via Ciccaglione, 29)
impaginato dal Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale (info 095530153).

Lo spettacolo – prodotto dal Teatro Libero Palermo – Centro di produzione teatrale – mette in scena la storia di un uomo sui sessant’anni, Salter, che incontra i suoi tre figli. Il primo è quello avuto da sua moglie quarant’anni prima; dopo la tragica morte di lei, Salter cerca di prendersi cura del bambino di appena due anni ma senza successo; l’alcolismo e una vita di eccessi non gli consentono di assolvere all’accudimento, così dopo poco decide di disfarsene mandandolo via. Ma prima del congedo succede qualcosa, cioè il padre incompetente pensa di poter rimediare azzerando quanto fino ad allora accadutogli. Un qualcosa che ci farà conoscere un altro suo figlio, poco più giovane, e un altro figlio ancora.

“Cosa succede – spiega il regista Luca Mazzone – se un padre, dopo la morte tragica della compagna si ritrova da solo con il proprio figlio? Cosa succede se questo padre, nella società contemporanea, dove la perfezione e l’adeguatezza sono diventati i nuovi dogmi da onorare, vuole avere una nuova possibilità per essere un “bravo” padre? Se tutto questo accade dopo il 5 luglio del 1996, succede che una importante drammaturga inglese, Caryl Churchill, si interroghi sul tema della “replicabilità”, sul fatto che l’uomo, oggi, con l’avanzamento vertiginoso del progresso scientifico, può sostituirsi a Dio, può essere esso stesso Creatore e può creare tutti a sua immagine oppure tutti i suoi figli così come li vuole, tutti fatti con lo stesso materiale grezzo di base”.

La pièce è quindi una riflessione sul valore della vita umana nella sua unicità, nella irripetibilità di ciascun uomo. “Salter, un padre, e Bernard, un figlio, giocano una danza tra la vita e la morte, tra l’amore e l’odio, tra la natura e la scienza; un gioco nel quale, davanti al fallimento, si può ricominciare, perché si può replicare, forse all’infinito. Una replica che può realizzarsi per “un bel numero” di volte, mettendo in “crisi” la natura e l’ambiente. l’Io e il Noi”.

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